1° PREMIO con Pubblicazione - Lorenzo Cioni – (Silloge senza titolo) Editrice Ibiskos Ulivieri Empoli
La poesia di Lorenzo Cioni si rivela a noi lentamente, eppure è una sorpresa. All’inizio si è colpiti da una sorta di molteplicità dei contenuti: una galleria di tipi e di situazioni, dove però si vede, in filigrana, una forte personalità d’autore. Poi ci si accorge che lo stile è davvero singolare, elaborato e spontaneo nello stesso tempo, conciliando un’espressione molto diretta con un lavoro di lima che appare meticoloso.
Al di là di qualche sbavatura occasionale che sconfina qua e là in un vocabolario un po’ troppo altisonante, e di un uso forse eccessivo dei puntini di sospensione (molti sembrerebbero eliminabili senza alterare la sostanza della comunicazione), la scrittura è decisamente solida: muove da una precisa ansia espressiva, e di tale ansia e necessità è all’altezza.
La scena comprende l’uomo a tutto campo, con un fondo presumibilmente autobiografico che però si amplia in un quadro più universale (come la poesia e l’arte devono sempre fare). E la cosa migliore in questa prospettiva è un pluralismo di ottiche, una varietà di sguardi che evita ogni preconcetto o schematismo.
Quando il discorso sembra prendere una direzione troppo determinata, ecco che interviene una controvoce critica (e autocritica) a correggere. Il risultato è uno scavo esistenziale che riesce, comunque, a evitare ogni qualunquismo o nichilismo. Il viaggio nel paradiso/inferno della quotidianità illumina i perenni interrogativi dell’uomo, senza pretendere una risposta, ma tuttavia senza rinunciare al cammino dentro la domanda.
Il repertorio lessicale attinge al moderno, al popolare e al classico insieme, con piacevoli invenzioni, da «velinarsi» a «me lo succhiello lento» (riferito a un sigaro). Il repertorio tematico va dall’odore acre dei bassifondi a quello più rarefatto dell’analisi filosofica, in un perenne sapiente intreccio.
Il pessimismo finale trae origine più dall’immersione nella natura umana che da considerazioni astratte sul destino del mondo. L’uomo non è prigioniero di una qualche dio cattivo, ma piuttosto di sé stesso: «ladri, come ladri / ci pigliamo ciò che ci brucia dentro / di desideri impulsivi e impellenti». E alla fine si trova davanti all’eterno muro dell’assenza di senso: «...non so dare un’uscita / a questa impasse /... / io che ci faccio qui».
La sensazione che rimane al termine della lettura di questa silloge poetica è sostanziosa, ricca. I versi riescono a toccare le più svariate corde all’interno di chi legge, facendole vibrare e mettendole in consonanza con l’autore. Non già per trovare chissà quale impossibile soluzione, ma per sentire, almeno, un’interlocuzione e una vicinanza, nel disgregarsi dei giorni. Per sentire che, infine, arte e poesia esistono, e ce ne possiamo per un attimo nutrire.
Carlo Molinaro
scrivere è un atto di catarsi
richiede equilibrio e calma
produce distillati
profumosi e preziosi
ma scrivere
in questi tempi di guerra
non si può
il nemico è ovunque
occhi malevoli, orecchie
pettegole ...
non fidarti di nessuno ...
che vita ci siamo dati,
a chi ci siamo affidati ...
la sicurezza prema di tutto
e la libertà nel cesso
e impresentabili
siedono in cattedra ...
blaterano le loro filosofie
merdose ...
che buona questa cioccolata e noi a ingozzarci
come maiali ...
scrivere in tempi di guerra
non si può
o forse no, si deve
anche a costo di annegare, si deve ...
2° PREMIO - Piero Simoni – “ARMONIA”
Il connaturarsi di questi versi con motivi vitali, aspirazioni, meditazioni, compone un tessuto omogeneo; “melodia che all'universo mi fa armonia”. L'esperienza, di cui riaffiora l'ora trascorsa, al momento ignorata nella sua portata vitale e alba di speranza: l'energia che provoca, la stessa del mare, “che volge il manto alla riva”. L'amare le cose essenziali, la realtà, quella che il poeta non modifica con la sua opera, quando la sua “sola parola si sfoglia”. Pure, quella ricerca, che segue il segno misterioso dell'universo, è cibo che nutre la spiritualità di molti, perché densa di umanità.
Così la poesia è un dolce andare tra l'intercalare di figure, spazi, atmosfere, di vissuti, nell'implicita irrisolta domanda. Qui, il negativo dell'uomo evidenziato, non è volutamente vituperato con insistito sdegno: si astiene dalla facile predica. Qui la parola fa riemergere la radice variegata del vivere; evoca immagini pregnanti, ma non genera poesia figurata.
Torna spesso nelle composizioni la parola “canuto” che può sembrare, oltre che allusione al passato, evocazione di un simbolo di chiarore, quasi un rendere più limpida la partecipazione al tutto.
poi ti domandi il senso il peso delle parole
che sono il percorso il significato della vita
in confronto a chi agli altri ha dato il suo tempo
rinunciando ad ogni privato sentimento
tutti protesi ai più deboli ai piccoli abbandonati
il tuo inchiostro non scalfisce
la sola parola si sfoglia
si ritira in un canto a recitar la sua inconcludenza
non ha la forza di chi all'ideale ha offerto tutto il corpo
i tuoi occhi luminosi di bimbo nel gioco mi guardano
felice in un istante mentre io a stento la mente sgombro
di parole sono fatto che non hanno il tuo bagliore
di inutile materia artigianale in composizione
3° PREMIO – Fabio Carapezza “CATRAME”
Sinapsi chimica, caratteristica di noi umani, facenti parte dei mammiferi, in cui un neurone provoca la liberazione di un neurotrasmettitore che permette la comunicazione e un secondo neurone ne diviene l’intercettatore.
La scrittura di Fabio Carapezza ci offre questa doppia possibilità: quella di trasmettere in modo netto, non equivocabile, il suo pensiero, pur essendo una scrittura tutt’altro che prosastica e, nello stesso tempo, da al lettore la possibilità di essere un perfetto intercettatore.
Sinapsi quindi, ma soprattutto urticante; perché le parole che costruiscono le frasi versificate sono come sostanze che provocano una forte irritazione, non diversamente da quella provocata da un animale o da un vegetale che ti brucia, ti infiamma, ti irrita la pelle.
Linguaggio denso e corposo, catramoso appunto, e diretto, senza inutili infingimenti e nello stesso tempo carico di allusività: “nel paradiso dei virtuosi/sgambettate come troie per appendervi al paradiso/quarti di manzo scuoiati dalla beatitudine e dalla speranza”; così in “Ipocondria morbosa”.
Il vocabolario, la costruzione grammaticale e sintattica, la fraseologia che si snocciolano di pagina in pagina sono una ricerca, riuscita, di una isteria che è l’isteria stessa della vita.
Poesia clitoridea, sfinterica, spermatica, coprofila, emetica, rancida e carognesca; ma, tuttavia diretta, come in “Sete” e non solo, alla ricerca di “polvere di sorrisi”.
nella greve e fluida macchia da lucidascarpe
nella pozza di petrolio arenata e grave
dove un pellicano crepa asfissiato
Muore nel singhiozzo
La respirazione è densa di fuliggine
è calorosa e si scalda al neon antizanzare
Moscerini e farfalline arrostiscono alla carbonella
una carbonella di catrame
Mi mancherai
Mi mancherà la tua nuvola di luce leggera
quel tuo bianco vestito di vapore
quel radioso abbraccio serpentino
che costa le nostre vite
Mi mancherai Dio
quando puzzerò nel catrame
La giuria: Rina D'alessandro, Carlo Molinaro, Sergio Notario
Nessun commento:
Posta un commento